venerdì 27 marzo 2009

Venerdì. Il buon giorno si vede dal mattino.



Finalmente un nuovo venerdì tutto per noi. Da quanto tempo! Approfittando della mattina libera, mi dedico una prima colazione che sia “stagionalmente corretta”, per i colori intendo. Questa primavera timida, che stenta a manifestarsi, che ci lancia un raggio di sole e poi nasconde la mano, ha bisogno di essere sollecitata.






Chiamo a raccolta tazze e bicchieri, bricchi e posate, ciotole, il tovagliolo fucsia, piattini, marmellate… persino un libro azzurrino, una penna blu e verde mela, il cuore rosso di Keith Haring. Tutti a rapporto.

Let’s colour now!




Buon venerdì.

mercoledì 25 marzo 2009

Il paradiso siamo noi!


Mi prende lo schiribizzo e me ne vado in discoteca con il mio amico Albert, per fare uno studio socio-antropologico sui giovani d’oggi – dice lui – per respirare un po’ di spensieratezza e luci psichedeliche – dico io.
Anche se è da un po’ che non faccio una fila per andare in un club a ballare, non mi aspetto niente di nuovo, cosa può esserci di così tanto cambiato? I due biglietti ci aprono le porte di una discoteca che mi ricorda la scenografia di quel vecchio programma con la Parietti, come si chiamava, boh, finiva con ‘ondo, non so: arena centrale e piani rialzati tutto intorno.
Io e Albert, ci aggiriamo tranquilli, per niente spaesati, ma piuttosto con l’aria di due che di clubs ne hanno girato parecchi. Siamo persino contenti di questa botta di vita che abbiamo deciso di concederci in questo sabato sera, insomma pronti a divertirci.
La prima cosa che ci salta agli occhi è che al bar non c’è la fila, ed io una cosa del genere in una discoteca non l’ho mai vista. E, in effetti osservando i ragazzi, al posto di bicchieri colmi di Mojito e CubaLibre, noto solo cellulari e mi chiedo “ma col cellulare in mano, in discoteca?”. Vabbè.
Sebbene la musica non sia proprio il massimo - questo dj continua a proporre una sorta di IbizaStyle compilation che risulta completamente decontestualizzata ergo per niente coinvolgente - ci buttiamo nella suddetta arena e proviamo a ballare un po’. Ci proviamo ma invano, perché la gente continua ad andare e venire in tutte le direzioni che partono e giungono da/a noi due, impedendoci di fatto anche un minimo movimento che sia a tempo con la musica, e mi chiedo “ma camminare avanti e indietro in due o in tre o addirittura in quattro invece di ballare, in discoteca?”. Vabbè.
Decidiamo di salire al piano superiore per vedere che aria tira, ce ne stiamo affacciati alla ringhiera osservando la bella gioventù. Io non li distinguo, intendo non li distinguerei neanche se li conoscessi, e mi chiedo “ma neanche uno che decida di indossare qualcosa di un colore che non sia bianco o nero, in discoteca?” Vabbè.
Resistiamo per un’ora, credo un’ora e mezza, poi con uno sguardo della serie “dimmi che te ne vuoi andare anche tu” mettiamo fine alla cosa e ci avviamo all’uscita.
Saliamo in macchina.


“Ti ricordi quando in quel club, bevendo la Cucaracha, prese fuoco la camicia hawaiana di Franky?”
“Siiiii.”
“Era diverso.”
“Già.”
“Siamo vecchi?”
“Noo, ma che vecchi.”
all’unisono e ridendo: “Sono-loro-che-non-si-sanno-divertire”!!!

mercoledì 18 marzo 2009

Flower power. Dopo il giallo arriva il rosa.

L'intera stradina, tutta di rosa vestita.

domenica 15 marzo 2009

Diabolico perseverare nel giallo: uova alla belga.


[…] Devo uscire a comprare qualcosa. È quasi una settimana che vivo solo di yogurt e birra. Lo yogurt è finito stamattina, tra un quarto d’ora chiuderà la drogheria notturna di via Ben-Yehuda e io non resisterò un’altra notte senza un po’ di cibo solido. […]

David Grossman, Che tu sia per me coltello.




No, non preoccupatevi per me, non sono proprio ridotta come Yair. E’ vero che ho birra e yogurt, ma ho anche uova, indivia, cipolla bionda, burro, curry, ovvero gli ingredienti necessari per questa ricetta che ho deciso di rispolverare proprio oggi. In realtà la ricetta non prevede le uova, quando l’assaggiai a casa di una mia amica, infatti, trattavasi di ‘petti di pollo alla belga’, ricetta che lei, a sua volta, aveva copiato nel locale dove lavorava, in piazza del Pantheon. Oggi, però, i petti di pollo mancano, e trovano degna sostituzione nelle uova.
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Questa ricetta ha l’effetto sorpresa. Quando la nominerete, proponendola ai vostri commensali, essi penseranno immediatamente alla cucina del Belgio, con annessi e connessi. Poi si troveranno di fronte ad un ingrediente non propriamente belga: il curry!
Di certo vi chiederanno spiegazioni e voi direte: ‘quel ‘belga’ sta per indivia belga’ e loro risponderanno ‘aaaaah’.



Uova alla belga:
in un bella padella antiaderente fate andare il burro e dorate la cipolla tagliata grossolanamente. Aggiungete l’indivia anch’essa tagliata a rondelloni, poi il sale e fate appassire. Usate un po’ dell’acqua fuoriuscita dalla verdura per stemperare – a parte – il curry . Per la quantità di curry, regolatevi secondo le vostre abitudini. Versate la cremina di curry in tegame e allungate con mezzo bicchiere d’acqua. Lasciate evaporare. Fate spazio al centro del tegame e versate le uova, coprite con un coperchio, a fuoco basso per tre/quattro minuti, a seconda se le preferite morbide o leggermente rapprese. Servite le uova sul letto d’indivia, o con questa a fianco o come meglio vi aggrada.

sabato 14 marzo 2009

Con Elvis in loggetta. Riallacciandomi al giallo papaveresco.




"Spring fever, spring is here at last
Spring fever, my heart’s beating fast"

Spring Fever, Elvis Presley


Il punto di vista.

Natural: on the table, and...



... under the table.



Yellow: on the table, and...



... under the table.


White: on the table, and...



... under the table.



Aiuola organizza una cena e festeggia i sessanta anni della sua mamma: quale tovaglia scegliere per l'occasione?

mercoledì 11 marzo 2009

Da Albert. In cima alla collina, il ristorante.




































Non credo che questo luogo abbia bisogno di essere raccontato: lascio alle immagini il compito di presentare, descrivere, introdurre. A quest'area lounge segue il piano superiore, la sala vera e propria che non ho ritratto, per non disturbare gli ospiti del ristorante.




















































Albert, invece, ve lo presento io. Eccolo! Lui coltiva, alleva, produce. Ma indovinate un po' qual'è la sua vera passione?



















C.da Padula Inferiore
S. Pietro in Guarano CS
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Campagna calabrese, clima inglese.
























Da casa di Albert si snoda una stradina che porta fino in cima alla collina. Si arrampica su fra olivi secolari e da lì, da un poggetto, si spalancano mirabili vedute che prima o poi vi mostrerò.
Magari aspetto che il clima sia un po' meno inglese e un po' più calabrese...

domenica 8 marzo 2009

Quando tutto manca...



Quando tutto manca, un piatto di paccheri al pomodoro non ce lo toglie nessuno.

Era da tanto che non preparavo il sugo con i pelati. Forse perché la prima volta che praparai il sugo per Sommy utilizzai casualmente la passata. Poiché gli piacque moltissimo, decisi che - come si suol dire - "squadra che vince non si cambia".
Oggi, invece, un po' perché sono l'unico ospite di questo pranzo domenicale, un po' perché di passata in dispensa non ce n'è, ho aperto la mia bella latta e via.
Avevo dimenticato la piacevolezza al tatto dei pelati, pomodori belli polposi, integri nella loro forma di san marzano. Li ho tagliati a pezzetti e buttati con il loro succo in un soffritto di cipolla, carota e origano. Li ho fatti andare a fuoco vivace, con coperchio, per 40'. Poi ho lasciato rapprendere la salsa con coperchio a metà per altri 10' minuti. I paccheri, invece, sono stati buttati in acqua bollente per 12', scolati e uniti alla salsa.
Il risultato è stato appagante, tutte le parti hanno chiuso l'incontro con soddisfazione, complimentandosi reciprocamente: pelati Divella con paccheri De Cecco,... aiuola compresa ;-)

venerdì 6 marzo 2009

Cappelli #10. Private Collection.


Tutte le sere, in onda su di una emittente privata del Sud, trasmettono vecchi film in bianco e nero degli anni '40 e '50, italiani e americani. Inutile dirvi che cerco di non perdermene uno, come potrei? Ma neanche il più stupido, neanche il più inutile, poiché anche nel più stupido e nel più inutile i costumi sono comunque bellissimi.

Tutto un godet piuttosto che un longuette, tutto un corpetto liscio piuttosto che ricamato, tutta una magia sartoriale che ha ispirato ogni singolo pezzo della moda successiva a quegli anni. Per non parlare degli accessori: guanti in nappa, con fodera in tinta o a contrasto, con chiusura a bottoncino o a riccio, corti-medi-lunghi!!!



Borse: vere baguette lucide e opache, nere o colorate. Ma anche a sacco, da polso, e tra le mie favorite: con apertura a scatto, irresistibili. Poi, quando l'abito non prevedeva graziose pieghe o cuciture ben definite e decorative sul giro vita, ecco comparire le cinture: sottili sulla giacca del tailleur, maxi sulla gonna scampanata, in nappa, in pelle, in corda.



E che vogliamo dire delle scarpe? Audaci, perché con tacchi alti, ma mai volgari. Mai.




Infine i cappelli. Un mondo in testa, da sfoggiare con vezzo, con vanità. Il cappellino dice tutto di questa donna glamorous. Chiome acconciate e ornate di cappello, a celare, o ad evidenziare l'onda... costata una gran fatica.



Qui vi propongo la mia mini-collezione: esemplari in feltro, seta, velluto in seta. Come per tutto il vintage anche codesti copricapo vibrano ad indossarli, anzi, vibrano solo a guardarli. Portano con sé tutto il significato della parola femminilità: tutto ciò che l'eleganza ha perso per strada e che si spera riesca a recuperare.

giovedì 5 marzo 2009

Il baking aiuta a vivere meglio.


Le donne anglosassoni lo sanno bene, e generalmente dedicano un giorno alla settimana a questa attività. Sfornano cakes, plum-cakes, breads, muffins e chi più ne ha più ne metta. Devo dire che quest'abitudine mi ha conquistata e l'azione - in questo caso coazione - del "baking", ovvero del cuocere in forno, è diventata consuetudine anche per me.

Mi accorgo che la preparazione del prodotto da forno regala più di una soddisfazione:
  • per sé, nel testare la propria capacità-manualità-creatività;
  • per gli altri, nell'offrire loro un prodotto quotidiano che sia genuino, made with love;
  • per tutti, nel godere di quella fragranza che aleggia tutt'intorno e fa subito casa.

Plus: non so voi, ma io dedico sempre a me stessa i minuti del "tempo di cottura". A volte, specie in occasione di nuove ricette, me ne sto con le gambe incrociate e la faccia curiosa di fronte al forno, sento il calore avvicinarsi. I pensieri si intrecciano quasi filosofeggiano, i muscoli si rilassano, il dolce si gonfia... e compare un sorriso.